28 apr 2014

Recensione "Il Nome del Vento" di Patrick Rothfuss


UNA NOTTE IN INCOGNITO ALLA LOCANDA
Una recensione atipica de “Il Nome del Vento” di Patrick Rothfuss
Procedo alla cieca lungo il sentiero.
Nei dintorni non sembrano esserci segni di vita.
Ma ad un tratto la vedo: una luce soffusa in lontananza.
Mi dirigo in fretta verso l'unica ancora a cui aggrapparmi, la mia unica speranza per il momento: sono ghiacciata, mi sono persa, non ricordo come sono arrivata qui.
Sembra provenire da una locanda. Mi avvicino sempre più, fino a che non riesco a scorgere l'insegna: “La Locanda della Pietra Miliare”.
Il silenzio è il più intenso e rumoroso che abbia mai sentito.
Un silenzio in tre parti.
Era profondo e vasto come la fine dell'autunno. Era pesante come una grossa pietra levigata dal fiume. Era il paziente suono di fiori recisi, di un uomo che sta aspettando di morire.
I vetri sono appannati, ma si riescono a scorgere tre sagome all'interno:
un uomo intento a scrivere avidamente e senza sosta, un ragazzo scuro e attraente, con un sorriso vivace e occhi scaltri, che ascolta a bocca aperta le parole di un terzo uomo, che pare stia raccontando una storia:

Ma immagino che il vero inizio della storia sia ciò che mi condusse all'Accademia. Fuochi inattesi al crepuscolo. I Chandrian. Un uomo con occhi come ghiaccio sul fondo di un pozzo. L'odore di
sangue e capelli bruciati.»
[...] “Ho girovagato, amato, perso, ho avuto fortuna e sono stato tradito” […]

Quest'ultimo ha un aspetto spento, non proprio malato ma vuoto. Come una pianta che è stata trapiantata in un tipo di terreno sbagliato ed ha cominciato ad avvizzire. I capelli fiammeggianti sono la prima cosa che salta all'occhio, visibili anche attraverso un vetro appannato.
Dal modo in cui si muove nella stanza capisco che è lui il proprietario della locanda, il locandiere.
Il suo nome è Kote, il ragazzo dall'aspetto inumano che lo guarda con curiosità, invece, è Bast, il suo apprendista, mentre l'uomo intento a scrivere si fa chiamare Cronista, ed è uno scriba.

L'insolito racconto continua, intervallato qua e là da frasi dal sapore magico, poetiche ed eleganti:

Strano vedere un mortal avvampare
e affievolirsi al passar d'ogni giorno
fiamma ardente dal lieve guizzare
e basta il vento a levarla di torno
se le potessi prestar il mio fuoco
a ravvivarla io riuscirei un poco.”

Non me la sento di disturbare un momento così speciale.
So che lo è, perché avverto l'intensità, la sofferenza e la nostalgia con la quale l'uomo racconta: sembra quasi stia condividendo un pezzo della sua anima.

Ecco perché queste storie ci piacciono. Ci danno la chiarezza e la semplicità che manca alle nostre vite”.

Potrei benissimo voltarmi e tornare indietro, ma le sue parole mi hanno intrappolata in un vortice... voglio ascoltare, conoscere ogni minimo dettaglio, non perdermi nemmeno una parola, godermi a pieno ogni pausa silenziosa.

La curiosità mi ha invasa. Chi è costui? Come fa a conoscere a menadito ogni singolo episodio della vita del leggendario Kvote, famoso e famigerato in tutto il Regno?

Il mistero è presto svelato: la storia si spiega da sé.

«Sono un mito. Un genere molto particolare di mito che crea sé stesso.
Le migliori menzogne su di me sono quelle che io ho raccontato.»

Ad un tratto mi sento in colpa: cosa succederebbe se venissi scoperta ad origliare? Quella che si sta raccontando nella Locanda è una storia mai udita, segreta. Io non dovrei assolutamente esserne al corrente. 
Nessuno sembra essersi accorto di niente, eppure... ho la sensazione che Kote sappia della mia presenza...

La paura scaturisce spesso dall'ignoranza. Una volta compreso, rimane solo il problema, niente di cui aver paura.”

Ed ecco arrivato il momento che aspettavo, il momento in cui entra in scena l'amore: a complicargli la vita, a solcare ancor più il suo corpo già fin troppo invaso dalle ferite che l'hanno costretto a crescere prima del tempo.

Sarebbe bello dire che i nostri occhi si incontrarono e io mi strinsi al suo fianco. Sarebbe bello dire che dopo averle baciato la mano, parlai di argomenti piacevoli in distici in rima. Come il Principe
Valoroso di qualche favola. Sfortunatamente, la vita di rado segue un copione pianificato con attenzione.

Affascinante, innocente, perfida, astuta, enigmatica ed incomprensibile.
Sono questi i tratti predominanti della donna che gli farà perdere la testa.
Uno di quegli amori che ti travolgono.
Non importa dove fosse, lei era al centro della stanza.» Kvothe si accigliò. «Non fraintendete. Non era chiassosa, o vanitosa. Fissiamo il fuoco perché guizza, perché riluce. La luce è ciò che attira i nostri occhi, ma ciò che fa accostare un uomo al fuoco non ha nulla a che vedere con la sua forma lucente. Ciò che ti attira verso il fuoco è il calore che senti quando ti avvicini.”

Mentre Kvothe parlava, la sua espressione si faceva distorta, come se ogni parola che pronunciava lo facesse soffrire sempre più. E se pure le parole erano nitide, corrispondevano alla sua espressione, come se ognuna di esse fosse raschiata con una ruvida lima prima di lasciare la sua bocca.

Non ho mai reagito in modo così intenso ad una storia: piango, rido, soffro col protagonista. Mi sembra di essere accanto a lui, a parlare del più e del meno, a vivere avventure inaspettate, estenuanti ed inimmaginabili.

E' giunta la notte: il buio si è fatto ancora più intenso, e Kote ha la voce rauca. Improvvisamente si ferma. A quanto pare ha deciso di fermarsi per andare a riposare. Dopotutto, ha ancora due giorni di tempo per terminare il racconto.
Ora so. So troppo.
E' arrivato il momento di andarmene: ma domani tornerò... il bello della storia non è ancora arrivato.
L'eco di una voce mi arriva alle orecchie. Sono convinta che è Kvote a parlare:

Ci rivedremo dove le strade si incontrano”

Voi, FORTUNATAMENTE, POTETE PRENDERVELA COMODA: NON VI SERVIRA' SPIARE IL LOCANDIERE E GHIACCIARVI PER SENTIRE TUTTA LA STORIA.
VI BASTERA' RECARVI IN LIBRERIA E COMPRARE “IL NOME DEL VENTO”DI PATRICK ROTHFUSS, PRIMO LIBRO DI UNA TRILOGIA RICCA, COINVOLGENTE ED APPASSIONANTE. DOPODICHE' STA A VOI LA SCELTA: IMBACCUCCARVI SOTTO LE COPERTE, ACCIAMBELLARVI SULLA VOSTRA POLTRONA PREFERITA AL CALDUCCIO, SDRAIARVI SUL TAPPETO PIU' MORBIDO E CONFORTEVOLE CHE AVETE IN CASA...

Il mio nome è Kvothe, che si pronuncia quasi come 'Quote'. I nomi sono importanti, dato che dicono molto a proposito di una persona. Ho avuto più nomi di quanti ognuno avrebbe diritto. Gli Adem mi chiamano Maedre. Che, a seconda di come viene detto, può voler dire La Fiamma, Il Tuono, o L'Albero Spezzato. 'La Fiamma' è ovvio per chiunque mi abbia mai visto. I miei capelli sono di un rosso vivido. Se fossi nato un paio di centinaia d'anni fa, probabilmente sarei stato bruciato come demone. Li tengo corti, ma sono ribelli. Se lasciati a sé stessi, rimangono ritti e sembra che stia andando a fuoco. 'Il Tuono' lo attribuisco a un forte timbro baritonale e a un lungo addestramento teatrale in tenera età. Non ho mai pensato che 'L'Albero Spezzato' avesse un vero significato. Sebbene a posteriori suppongo che possa essere considerato quantomeno parzialmente profetico”.

Il punto forte della storia sono proprio i personaggi. Tutti hanno una personalità ben tratteggiata e un'aurea di mistero che li circonda. Le personalità dei character principali sono strutturate alla perfezione. E' inevitabile, come lettori, identificarsi in parte dei loro tratti, oppure discostarsene del tutto.

Oltre a Kvote e Denna, un personaggio secondario che mi incuriosisce, e che ho la sensazione ci riserverà tante sorprese nel terzo libro, è Auri. Una gracile e timida ragazza che vive sola nei sotterranei dell'Accademia. Conosce a menadito ogni passaggio segreto che si nasconde là sotto, porta con sè l'innocenza propria dei bambini e non ama parlare di sè e del proprio passato. Sarà Kvote ad avvicinarla a sè, incuriosito dalla sua fuggevolezza. Complice la curiosità di Auri, attratta dall'ombra oscura e malinconica che circonda il protagonista, tra i due si instaurerà un rapporto molto particolare.

Udii un fruscio dalle siepi in basso e vidi Auri sgambettare su per
l'albero come uno scoiattolo. Corse attorno al bordo del tetto, poi si
tirò su a poche dozzine di piedi di distanza.
Nella mia migliore ipotesi, Auri aveva solo qualche anno più di
me, di certo non più di venti. Indossava abiti sbrindellati che le
lasciavano nude braccia e gambe, era più bassa di me di quasi un piede ed era magra. In parte, questo era dovuto alla sua ossatura leggera, ma c'era di più. Le sue guance erano scavate e le sue braccia nude erano scarne come quelle di un trovatello. I suoi lunghi capelli erano così fini che la seguivano fluttuando nell'aria come una nuvola.
Nel corso degli ultimi giorni, aveva anche iniziato a parlare. Mi aspettavo che fosse ostile e sospettosa, ma nulla poteva essere più distante dal vero.
[...] Scelsi io un nome per lei, Auri.

Locandieri segnati dal tempo, demoni, musica, vita nomade, arcanisti, magia, accademie, amore, donne, povertà, miseria, pazzia, pericolo, morte, intrighi, biblioteche immense, draghi vegetariani+tossicodipendenti XD, momenti di umorismo, inganni, pregiudizi, astuzie, amicizia, morti misteriose, nemici oscuri... OGNI SCUSA E' BUONA, OGNI MILLESIMO DI SECONDO DEL VOSTRO TEMPO E' FONDAMENTALE PER LEGGERLO, PERCHE', UNA VOLTA ENTRATI NELLA STORIA, I PERSONAGGI PRINCIPALI DIVENTERANNO I VOSTRI MIGLIORI AMICI, O I VOSTRI PEGGIORI NEMICI, L'ECO DELLA VOCE DI KVOTE NON VI USCIRA' PIU' DALLA TESTA

LA LOCANDA DOVE TUTTO HA INIZIO
E' qui che tutto ha inizio:
Una locanda vuota, dal silenzio sospetto e dal nome sinistro.
Era di nuovo notte. La locanda della Pietra Miliare era in silenzio, e si trattava di un silenzio in tre parti.
La parte più ovvia era una quiete vuota, riecheggiante, formata da cose che mancavano. Se ci fosse stato del vento, avrebbe spirato attraverso gli alberi, fatto scricchiolare l'insegna della locanda sui suoi cardini e spazzato via il silenzio lungo la strada come vorticanti foglie autunnali. Se ci fosse stata una folla o anche solo un gruppetto di avventori, questi l'avrebbero riempito con conversazioni e risa, il fracasso e gli schiamazzi che ci si aspetta da una taverna nelle buie ore notturne. Se ci fosse stata musica... ma no, ovviamente non c'era alcuna musica. In realtà non c'era nulla di tutto ciò, perciò rimaneva il silenzio.
All'interno della Pietra Miliare alcuni uomini erano radunati a un angolo del bancone. Bevevano con calma determinazione, evitando serie discussioni di notizie preoccupanti. Nel fare ciò essi aggiungevano un piccolo, cupo silenzio a quello vuoto più grande. Formava una sorta di lega, un contrappunto.
Il terzo silenzio non era facile da notare. Se foste rimasti in ascolto per un'ora, avreste potuto cominciare a sentirlo nel pavimento di legno sotto i piedi e nei ruvidi barili scheggiati dietro il bancone. Era nel peso del focolare di pietra nera che tratteneva il calore di un fuoco spento da molto. Era nel lento andirivieni di un bianco panno di lino che sfregava le venature del bancone. Ed era nelle mani dell'uomo che se ne stava lì in piedi a pulire un tratto di mogano che
già risplendeva alla luce delle lampade. L'uomo aveva capelli di color rosso vivo, come fiamma. I suoi occhi erano scuri e distanti, e lui si muoveva con la sottile certezza che proviene dal conoscere molte cose.
La Pietra Miliare era sua, proprio come il terzo silenzio. Era appropriato, dato che fra i tre era il silenzio più grande, che avvolgeva gli altri dentro di sé. Era profondo e vasto come la fine dell'autunno. Era pesante come una grossa pietra levigata dal fiume. Era il paziente suono di fiori recisi, di un uomo che sta aspettando di morire.”

Ore più tardi, il locandiere se ne stava sulla soglia della Pietra Miliare e lasciava che i suoi occhi si rilassassero nell'oscurità. Orme di luce delle lampade proveniente dall'interno della locanda si stendevano attraverso la strada sterrata e le porte della fucina dall'altro lato. Non era una strada larga, o molto battuta. Non sembrava condurre da nessuna parte, come accade certe volte ad alcune strade. Il locandiere trasse un profondo respiro d'aria autunnale e si guardò intorno irrequieto, come aspettando che accadesse qualcosa”.

In dieci minuti la locanda era un posto diverso. Le monete tintinnavano sul bancone. Formaggio e frutta vennero messi su vassoi e una grossa pentola di rame venne messa sul fuoco in cucina. Gli uomini spostarono tavoli e sedie per adattarli meglio al loro gruppo di quasi una dozzina di persone. La cosa migliore era il rumore. Cuoio che scricchiolava. Uomini che ridevano. Il fuoco guizzava e crepitava. Le donne civettavano. Qualcuno rovesciò perfino una sedia. Per la prima volta dopo lungo tempo non c'era silenzio nella locanda. Se c'era, era troppo flebile
per essere notato, oppure ben nascosto.
Kote era nel mezzo di tutto questo, sempre in movimento, come un uomo che bada a un grande, complesso macchinario. Pronto a portare da bere appena una persona lo chiedeva, parlava e ascoltava nella giusta misura. Rideva alle battute, stringeva mani, sorrideva e faceva sparire le monete dal bancone come se avesse veramente avuto bisogno del denaro”.

articolo scritto per la rivista "Notizie dalla Terra di Altrove"